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un’idea di poesia

A cosa serve l’esame di maturità (che nemmeno si chiama così, ma lasciamo stare…)? A niente, diranno i miei lettori meno giovani. A niente, lo dico anch’io, che sono meno giovane di loro. Ma forse, proprio perché abbiamo superato la soglia sotto la quale ci si può definire ancora giovani, forse ci sfugge qualcosa, forse lasciamo troppo spazio al nostro stanco cinismo, forse perdiamo di vista che il «servire» ha molte declinazioni, non tutte subito comprensibili. E dunque, a pensarci bene, c’è almeno una cosa a cui serve l’esame di «maturità»: a farci ricordare che la poesia esiste.

Non la legge nessuno, è vero. Nessuno nemmeno se la fila, figuriamoci, nessuno se ne ricorda mai. Non ha nessuna importanza e nessunissimo rilievo nella vita di nessuno, ci mancherebbe… ma esiste, colpevolmente. E ogni anno l’esame di maturità ci dice esattamente questo: che la poesia esiste, sta lì, nella prima prova, bisogna analizzarla e si è «maturi». Oppure si sceglie Bartali e si è «maturi» lo stesso, non è obbligatoria, la poesia.

Ma fa sorridere questo improvviso impegno improvvisato dei nostri quotidiani a raccontare la poesia, me le immagino le imprecazioni dell’ultimo arrivato in redazione costretto al commento della poesia del giorno (dell’anno, in realtà: ti becchi la poesia, sei stato sfigato, l’anno prossimo toccherà a un altro): oggi è Ungaretti, altre volte furono Saba o Montale o Caproni; ma è commovente in ogni caso vedere come le parole intorno alla poesia si sprechino e danzino appassite, sempre le stesse.

Qui, per esempio, dove si dice «profonda dissertazione sul proprio io, sugli uomini e sull’universo» e «ricerca … tutta interiore al poeta»; ma anche qui dove «la morte, la fragilità della condizione umana, la comprensione dell’inutilità del conflitto» e naturalmente «una ricerca dell’assoluto attraverso la finitezza. Una ricerca del divino attraverso l’umano»; e poi ancora qui, dove: «viaggio introspettivo dello scrittore alla ricerca del mistero dell’essere umano»; e infine, da non sottovalutare, perché più sottile ma altrettanto inutile, se mi permettete, anche qui, dove a parlare è Gianni Biondillo, uno che non si ricorda che due anni fa eravamo a parlare di una poesia di Caproni, secondo Novecento, ma che auspica che ciò avvenga finalmente, dopo tanto colpevole silenzio: «Anche quando ho fatto la maturità io c’era la grande triade Ungaretti-Montale-Saba, non si riusciva a vedere oltre. Mi spaventa che oggi siamo ancora lì. Dei poeti della seconda metà del Novecento gli studenti conoscono a mala pena i nomi, ma non la produzione…»

Anche quest’anno tutto bene, insomma: abbiamo scoperto che esiste ancora la poesia, ne possiamo fare a meno fino all’anno prossimo, arriverà un nuovo esame di maturità a ricordarcelo. Con il suo linguaggio ministeriale, che nega mentre propone, che dice sì e no contemporaneamente. Che dice in fondo solo una cosa, autenticamente e sinceramente. Questa:

La traccia dell’esame di maturità dimostra l’immaturità ministeriale in fatti poetici. Meglio, dimostra l’idea che lo Stato ha della poesia. Cosa inutile. Necessaria, semmai, per consolidare una vaga idea di patria. La poesia di Giuseppe Ungaretti, Risvegli, infatti, non è stata proposte alle orde maturande per quello che è… L’Ungaretti sepolto nella trincea della Prima guerra, piuttosto, è utile e servile alla solita ramanzina su “l’orrore della guerra”. Ungaretti serve perché è stato in guerra, è sopravvissuto, ne ha fatto poesia. Stop.

Davide Profumo
Davide Profumo
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