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1 Novembre 2018

100%

Ho letto queste parole stamattina:

Non mi interessa andare a trovare la verità nelle canzoni. L’idea che mi ha mosso a scrivere questo libro è che una canzone è fatta per il 50% da chi l’ascolta: ognuno di noi cerca nelle canzoni un significato, un mondo, uno sguardo, un incontro…

Ho letto queste parole, che sono state pronunciate da Giulia Cavaliere (e che potete trovare qui, entro un’intervista che presenta il suo libro sulle canzoni d’amore italiane), e ho pensato che sono parole belle e giuste ma che non valgono soltanto per le canzoni, in effetti. Ho letto queste parole e ho pensato che sono la definizione quasi perfetta (quasi: quella davvero perfetta, per fortuna, non esiste) della letteratura, di quello che io penso che sia la letteratura, di quello che è stata per me la letteratura in tutti questi anni.

Vale a dire un incontro. Che ci consente il privilegio di ascoltare parole scritte mille anni fa da un essere umano che respirava mille anni fa e di amarle e interpretarle e travisarle e di riconoscerci in quelle parole scritte da un uomo che ha percorso le strade di questo pianeta quando di noi nemmeno esisteva il presentimento, nemmeno un soffio che anticipasse il nostro possibile arrivare qui, mille anni dopo.

 

Eppure, mi sono detto in tutto questo mio tempo trascorso a leggere libri e poesie e romanzi e racconti e apologhi, eppure anche quelle parole di mille anni fa parlavano di noi, ogni volta di noi e del nostro essere qui, adesso. E noi parliamo continuamente con loro, con quegli uomini lontani, quindi anche noi facciamo quei libri, ogni volta che li leggiamo, non so se al 50%, le percentuali non sono così importanti, ma ci mettiamo dentro noi stessi, li ascoltiamo, li interrompiamo, li incontriamo. Non solo con le canzoni.

 

In nessun altro modo mi so spiegare, per esempio, il nostro continuo incontrare Dante. In un poema che nasce in fondo proprio da un incontro con le parole di un uomo lontanissimo (Miserere urla Dante dalla selva al fantasma di Virgilio, che gli appare fioco dalle pagine di chissà quale antico manoscritto) e finisce nell’incontro con un Dio che appariva smarrito ed era invece così prossimo, vicinissimo. Ed è bello che questa storia di incontri che è la Commedia trovi ancora parole capaci di farla e rifarla (come noi facciamo ogni volta le canzoni) e di raccontarla anche sul web, con parole (le nostre parole) che in qualche misura ne sono l’eredità più preziosa:

La Commedia è il racconto di un esilio: Dante è in esilio da sé, è nella “selva oscura”; va in esilio dal mondo – e dal proprio ristretto rione politico, Firenze – negli altri mondi, dove lui è effettivamente espatriato, esiliato: è l’unico uomo in carne e ossa. All’esilio segue, assecondando il racconto biblico, il ritorno, purificati, nella terra, nella promessa. Nella Commedia l’Inferno è lo stato de “l’etterno essilio” da Dio; ma in assoluto “essilio” è la vita terrena, un allontanamento da Dio che sarà sanato con la morte.

 

Ma è a Giulia Cavaliere che vorrei tornare, e al suo libro sulle canzoni che mi pare ottimamente presentato da molti articoli di giornale (qui da Francesca Milano, con questa splendida citazione di Silvia Plath: «Se nelle canzonette si sostituisse la parola amore con desiderio ci si avvicinerebbe molto di più alla realtà») e da lei stessa ben introdotto nell’intervista che ho letto stamattina e in cui, per esempio, si dice anche così: «Pensiamo sempre alla musica come qualcosa che va amplificato, ma la canzone pop è qualcosa che amplifica te». E mi piace quindi segnalarvi un’anticipazione del libro che è stata recentemente pubblicata sul web (è una bella storia della canzone Rimmel, quella per cui «qualcosa rimane», speriamo che sia vero), così come un altro libro che parlava di canzoni e che fu scritto qualche anno fa da Luigi Manconi (il quale ha ben altri meriti, nel nostro paese, lo sappiamo) e che personalmente amai moltissimo, per come era impostato e per come impostava l’annosa e inutilissima questione sui rapporti tra canzonette e poesia.

Le quali (canzoni e poesie) sono nient’altro che due delle diverse forme che abbiamo dell’incontrarci, del parlarci, del fraintenderci, del provare e riprovare a capirci, sempre fallendo e sempre misteriosamente riuscendoci. Nella convinzione esile ma irrinunciabile che sia «tutta musica leggera, ma la dobbiamo imparare», come diceva una canzone di quello là; anzi, come ho detto io, tante volte, facendo mie quelle parole, in modo tale che sono, nel frattempo, diventate veramente, al 100%, parole mie.

Davide Profumo
Davide Profumo
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